Plinio il Vecchio
Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (in latino Gaius Plinius Secundus; Como 23 d.C. – Stabia 25 ottobre 79 d.C.), è stato uno scrittore, naturalista, filosofo naturalista, comandante militare e governatore provinciale romano.
Plinio fu un uomo caratterizzato da un’insaziabile curiosità e scrisse molte opere, ma tutta la sua vasta produzione è ad oggi perduta, tranne per pochi frammenti. Tra queste opere si ricordano: il De iaculatione equestri; il De vita Pomponii Secundi, biografia in due libri del poeta tragico Publio Pomponio Secondo, di cui era devoto amico; i Bellorum Germaniae libri XX; gli Studiosi libri III, manuale sulla formazione dell’oratore; i Dubii sermonis libri VIII, su questioni grammaticali; e gli A fine Aufidii Bassi libri XXXI, sulla storia dell’Impero dal periodo in cui si interrompeva la storia di Aufidio Basso.
L’unica opera pervenutaci è il suo capolavoro, la Naturalis historia; una vasta enciclopedia in 37 volumi che tratta di geografia, antropologia, zoologia, botanica, medicina, mineralogia, lavorazione dei metalli e storia dell’arte. L’opera enciclopedica è il risultato di un’enorme mole di lavoro di preparazione condotto su oltre 2000 volumi di più di 500 autori. Tale opera, letta e studiata nei secoli successivi, specialmente nel Medioevo e nel Rinascimento, rappresenta oggi un documento fondamentale delle conoscenze scientifiche dell’antichità.
La fama di Plinio è anche legata alla sua morte, di cui ci è testimone il nipote-figlio adottivo Plinio il Giovane. Plinio il Vecchio era a capo della flotta romana stanziata a Capo Miseno, quando si verifica una delle più grandi catastrofi della storia, l’eruzione del Vesuvio del 79. Corso in aiuto di una sua amica, Rectina, e degli altri abitanti di Stabia, Plinio non fu più in grado di lasciare il porto della città e morì per le esalazioni del vulcano.
Nacque sotto il consolato di Gaio Asinio Pollione e di Gaio Antistio Vetere. Dopo anni di discussione sul luogo della sua nascita tra Como o Verona, si è giunti ad identificare Como (Novocomum) come città natale. A sostegno della tesi veronese ci sono dei manoscritti in cui è possibile leggere Plinius Veronensis e il fatto che Plinio stesso, nella sua prefazione, citi Gaio Valerio Catullo come proprio conterraneus (e Catullo era di Verona). Ad avvalorare, invece, l’idea di Como come luogo di nascita, è san Girolamo che, nella sua Cronaca, unisce il nome di Plinio all’epiteto di Novocomensis.
Prima del 35 d.C. suo padre lo portò a Roma e affidò la sua istruzione ad uno dei suoi amici, il poeta e generale Publio Pomponio Secondo, dal quale Plinio acquisì il gusto di apprendere, come prova il fatto che citasse di aver visionato alcuni manoscritti delle orazioni dei Gracchi nella biblioteca del suo tutore, al quale dedicò più tardi una biografia. Plinio cita, inoltre, con deferenza i grammatici e retori Quinto Remmio Palemone ed Arellio Fusco e quindi fu certamente loro seguace. A Roma studiò anche botanica, ossia l’arte topiaria di Antonio Castore ed esaminò le piante di loto un tempo appartenute a Marco Licinio Crasso.
Poté anche contemplare la vasta struttura costruita da Nerone, la Domus Aurea, ed assistette probabilmente al trionfo di Claudio sui Britanni nel 44.
Prestò poi servizio in Germania nel 47 agli ordini di Gneo Domizio Corbulone, partecipando alla sottomissione dei Cauci ed alla costruzione del canale tra il Reno e la Mosa e, dalla sua esperienza come giovane comandante di un corpo di cavalleria (praefectus alae), trasse, nel corso degli stazionamenti invernali all’estero, un opuscolo sull’arte del lancio del giavellotto a cavallo (De iaculatione equestri), mentre in Gallia ed in Spagna annotò il significato di un certo numero di parole celtiche ed ebbe modo di vedere le località associate alle campagne militari di Germanico; anzi, sui luoghi delle vittorie di Druso, sognò che il vincitore lo pregava di trasmettere alla posterità le sue imprese. Accompagnò poi probabilmente Pomponio, amico di suo padre, in spedizione contro i Catti nel 50.
Sotto Nerone, visse soprattutto a Romaː infatti cita, probabilmente per averla vista di persona, la carta d’Armenia e gli accessi del mar Caspio che fu ceduto a Roma dal personale di Corbulone nel 59. Nel frattempo, completava i venti libri della sua Storia delle guerre germaniche, solo lavoro di riferimento citato nei primi sei libri degli annali di Tacito e si dedicò alla grammatica e la retorica.
Sotto il regno del suo amico Vespasiano, tornò, comunque, al servizio di Roma come procuratore nella Gallia Narbonense (70) e nella Spagna romana (73), visitando anche la Gallia Belgica (74). Durante il suo soggiorno in Spagna, si dedicò all’esame dell’agricoltura e alle miniere del paese, oltre a visitare l’Africa. Al suo ritorno in Italia, accettò, poi, un incarico di Vespasiano, che lo consultava prima di partecipare alle sue occupazioni ufficiali e, alla fine del suo mandato, dedicò la maggior parte del suo tempo ai suoi studi. Plinio il Giovane, suo nipote, ce lo rappresenta, infatti, come un uomo dedito allo studio e alla lettura, intento ad osservare i fenomeni naturali e a prendere continuamente appunti, dedicando poco tempo al sonno e alle distrazioni.
Il racconto della sua morte, contenuto in una lettera del nipote Plinio il Giovane, ha contribuito all’immagine di Plinio come protomartire della scienza sperimentale (definizione di Italo Calvino), anche se, sempre secondo il resoconto del nipote, si espose al pericolo anche per recare soccorso ad alcuni cittadini in fuga dall’eruzione, in quanto comandante della flotta di stanza a capo Miseno. Infatti, in occasione dell’eruzione del Vesuvio del 79 che seppellì Pompei ed Ercolano, si trovava a Miseno come praefectus classis Misenensis. Volendo osservare il fenomeno il più vicino possibile e volendo aiutare alcuni suoi amici in difficoltà sulle spiagge della baia di Napoli, fra le quali Rectina, parte con le sue galee, che attraversano la baia fino a Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) dove muore, probabilmente soffocato dalle esalazioni vulcaniche, a 56 anni.