Scavi di Pompei
Il primo intervento di scavo che ha interessato l’area dell’antica Pompei risale all’imperatore Alessandro Severo. La cittadina prese il nome di Civitas, ed in seguito Civile. Purtroppo questo scavo non raggiunse un buon esito a causa dello spessore della coltre di ceneri e lapilli e della vegetazione sempre più rigogliosa. Bisogna attendere gli anni compresi fra il 1594 e il 1600 per avere delle novità di rilievo. L’architetto Domenico Fontana in quegli anni costruì un canale che trapassava la collina di Pompei al fine di portare le acque del fiume Sarno a Torre Annunziata.
In quella occasione furono rinvenuti i resti di edifici, iscrizioni e monete. Tuttavia non capirono che quelle rovine appartenevano a Pompei ed il violento terremoto del 1631 spazzò via qualsiasi spunto di ricerca. Nel 1738, per ordine di Carlo di Borbone, iniziarono i veri e propri scavi. Il direttore dei lavori era l’ingegnere Alcubierre. Si iniziò a scavare in maniera non sistematica, perché il vero intento era quello di trovare oggetti preziosi che potessero arricchire il Museo di Portici. Poi gli scavi furono sospesi perché ad Ercolano fu scoperta la Villa dei Papiri. I lavori ripresero nel 1754 e, dopo un solo anno di scavo, fu rinvenuta la Villa di Giulia Felice, il treppiede sorretto da satiri di bronzo e, nel 1763, fu scoperta la Porta di Ercolano ed un’epigrafe. Con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat vennero alla luce la strada tra la Villa di Diomede e la Casa di Sallustio, le case dette del Poeta tragico e del Fauno, il Foro e la “Basilica”.
Sotto i Borbone, Pompei diventò una sorta di “museo all’aperto” e sono rinvenuti il Tempio della Fortuna Augusta e le Terme del Foro. Con il regno d’Italia la direzione degli scavi fu affidata a Giuseppe Fiorelli che diede un’impronta sistematica ai lavori. Fu il primo a dividere la città in regiones, cioè quartieri ed in insulae, cioè in agglomerati di case. Inoltre, introdusse un’innovazione: versando gesso liquido nei vuoti del terreno lasciati dai corpi consunti delle vittime, si ottenevano dei calchi così che le impronte potessero essere conservate nel tempo. Al Fiorelli seguirono Michele Ruggiero e poi Giulio De Petrai, che disseppellirono vari sepolcri nei pressi della Casa dei Vetti. Poi, Antonio Sogliano e Vittorio Spinazzola perfezionarono la tecnica del recupero e della conservazione degli edifici.
Nel secolo scorso, il Maiuri e l’allora soprintendente Alfonso De Franciscis, si prefissero di conservare intatte quanto più possibile sia la struttura architettonica degli edifici che le decorazioni parietali all’interno degli stessi, perché ritennero più urgente l’arresto del degrado che continuare a scavare. Il terremoto del 1980 ha di gran lungo rallentato i lavori, che, una volta superato quest’ostacolo, sono ripresi anche grazie ai finanziamenti ottenuti dal Fondo Investimenti e Occupazione. Questi fondi sono stati sfruttati per far partire il “Progetto Pompei”, teso alla valorizzazione del patrimonio culturale dell’area archeologica. Ciò ha permesso di individuare anche nuovi siti, come la Casina dell’Aquila, che è sede di mostre temporanee e permanenti.
La ripresa dei lavori nel 1754 segnò una svolta decisiva nell’uso di tecniche, non invasive o distruttive finalizzate al consolidamento del suolo onde evitare frane che compromettessero per sempre ritrovamenti già molto fragili. Inoltre, la contemporanea presenza a Roma di Johann Winckelmann, grande studioso del mondo classico, contribuì a diffondere in tutto il mondo accademico d’Europa. Infatti, la vera novità di Pompei era che, per la prima volta, venivano alla luce non solo oggetti d’arte, ma le intere strutture ed infrastrutture “viventi” di un’intera città con il suo piccolo e umanissimo mondo quotidiano che dimostrava quanto fosse avanzata, libera e piena di gioia di vivere quella società.
Egli contribuì nel dare la certezza che si trattasse proprio di Pompei e la sua opera “Storia dell’arte nell’antichità” del 1764, vero e proprio manifesto della classicità, proclamò l’arte classica come ideale di perfezione: nasceva il neoclassicismo. Gli Illuministi fecero proprio questo ideale o nuovo gusto che si propagò con la velocità di un incendio in tutti gli strati sociali e travolse definitivamente tutti gli stili e le mode precedenti. I più fortunati economicamente si precipitarono in Italia dando inizio alla moda del “grand tour”. Tutte le arti dalle grandi alle piccole, all’abbigliamento, ai monili, all’arredamento furono coinvolti; di più, il nuovo ideale coinvolse il vissuto quotidiano, permeò non solo le forme ma anche lo “spirito” delle persone (e quindi la politica) che aspirarono al modo di vivere secondo la mentalità; quella che si credeva fosse tale, del mondo greco-romano del periodo dei Cesari o, secondo altri, del periodo più democratico della Repubblica.